czwartek, 21 września 2017

VERSO L’ORIZZONTE - JAKUB E MALGORZATA



Andrzej Juliusz Sarwa

VERSO L’ORIZZONTE (2)

racconti straordinari

tradotte da Marco Valenti


JAKUB E MALGORZATA

Oltre la finestra il buio sporco del tardo autunno si faceva sempre più fitto. La pioggia batteva sui vetri, mentre il vento ululava tra i rami di un elegante pioppo che cresceva proprio di fronte alla finestra.

Małgosia era rientrata dal lavoro stanca e affamata. Con un certo sollievo si tolse le scarpe all’ingresso e si infilò le pantofole morbide e consunte. Pensò che finalmente era giunta la fine dell’ennesima giornata. Una giornata esattamente identica a innumerevoli altre, che si disponevano in settimane, mesi, anni.

Oggi sentiva di nuovo in maniera più dolorosa del solito la forza della corrente del tempo, quella corrente che la stava portando sempre più lontano dalle coste verdeggianti della giovinezza. Era felice? Ormai non lo sapeva più. Sapeva, invece, soltanto una cosa, sapeva che il tempo la stava trascinando verso qualcosa che temeva in maniera inconscia e che avrebbe voluto raggiungere il più tardi possibile. Ma dipendeva forse da lei?

Esalò un profondo sospiro e, una volta entrata in bagno, aprì il rubinetto dell’acqua calda. Si lavava le mani e il viso con cura. Come se in quel modo tentasse di liberarsi della tristezza che le si era attaccata addosso. Finì di asciugarsi con un asciugamano ormai non troppo pulito, pensando al contempo a cosa avrebbe potuto preparare a pranzo per i bambini che fra un’ora, al massimo un’ora e mezza, sarebbero dovuti rientrare da scuola e per il marito, che si sarebbe fatto rivedere soltanto per le undici, poiché oggi lavorava al secondo turno.

Quando riappese l’asciugamano al gancetto attaccato sopra al lavandino sentì il rumore lungo e penetrante del campanello. Si mosse verso la porta malvolentieri, aprì lo spioncino e guardò fuori. Nella fitta oscurità della tromba delle scale scorse il contorno indistinto di una figura umana.

– Chi è? – chiese.

In risposta, però, sentì di nuovo il campanello. Questa volta fu breve, ma le vibrò nei timpani in maniera altrettanto penetrante, quasi dolorosa.

– Chi è? – ripeté la domanda.

Passò qualche momento, infine le giunse la voce smorzata di un uomo:

– Apri… Małgosia.

Sentendo quelle parole, ruotò la manopola della serratura, poi premette la maniglia. La porta si scostò con il leggero cigolio dei cardini non oliati da tempo.

Una macchia rettangolare di luce si stese sul pavimento del corridoio, e proprio in mezzo ad essa si stagliava la figura di un uomo.

In un primo momento non lo riconobbe. Forse perché ormai erano passati quindici, o anche diciassette anni da quando l’aveva visto l’ultima volta? O forse il motivo era un altro? Era lì di fronte a lei, con indosso una giacca di stoffa molto rovinata, il capo scoperto, i capelli appiccicati in alcuni boccoli da cui l’acqua scendeva a rigargli le guance. O forse perché tra tutti i suoi conoscenti lui era quello che meno si sarebbe aspettata di vedere lì in quel momento?

Se ne stava in piedi davanti alla soglia così, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, bagnato e forse anche stanco.

– Non mi inviti ad entrare? – chiese, mentre il tempo passava ed entrambi rimanevano fissi e in silenzio l’uno di fronte all’altra.

– Ma sì! Certo! Entra, prego!

Era leggermente irritata e parlava con la voce un po’ alterata. Perché? Mah, non lo sapeva neanche lei e si sentiva addirittura arrabbiata con sé stessa, perché si stava comportando come una ragazzina.

– Entra, Jakub – rinnovò l’invito, spostandosi al contempo dalla porta per fare posto all’uomo.

Non appena fu dentro lei sbatté la porta e istintivamente girò la manopola della serratura.

Lui se ne stava in piedi all’ingresso, come se non riuscisse a decidere cos’altro fare, se restare in quell’appartamento caldo, luminoso, accogliente, oppure chiedere scusa alla padrona di casa, salutare e uscire al più presto nel crepuscolo, che ormai aveva quasi assunto la tonalità della notte.

– Oddio, sei tutto bagnato!

Małgorzata si avvicinò al nuovo arrivato e lo aiutò a spogliarsi. Quando Jakub si chinò per slacciarsi le scarpe, lei lo trattenne:

– Lascia perdere! Non c’è bisogno.

Lo accompagnò nella stanza in cui solitamente accoglieva gli ospiti. Jakub si sedette in una grossa poltrona morbida e prese a guardarsi intorno incuriosito. Intorno si poteva notare un certo benessere, anche se non si trattava di vero e proprio lusso.

Dalla cucina giunse il fischio del bollitore. Lungo, acuto, penetrante.

– Ti chiedo scusa, vado a preparare il tè. O preferisci un caffè? – disse la donna.

– Va bene anche un tè.

Qualche momento dopo, mentre fissavano in silenzio i bicchieri pieni di quell’infuso dorato come l’ambra e la quiete era disturbata soltanto dal rapido battito delle grandi gocce di pioggia sul davanzale di metallo, Małgorzata nascose il viso tra le mani e scoppiò a piangere.

I singhiozzi scuotevano tutto il suo corpo e le lacrime fluivano tra le sue dita.

Jakub si alzò dal suo posto, si avvicino alla donna in lacrime e la abbracciò delicatamente.

– Va tutto bene, tutto bene – sussurrava mentre le baciava i capelli.

– No! Non va bene! Va tutto male e tu lo sai benissimo, così come lo so io.

– Ma prima andava tutto bene…

– Smettila! Non tormentarmi! Non mentire! Sarebbe potuto andare tutto bene. Sì, che sarebbe potuto andare tutto bene! Ma non è andata affatto così…

– Sì, lo so. È colpa mia.

Smise di piangere, si strofinò le palpebre rosse e gonfie con la manica sgualcita della maglietta che aveva indosso e infine lo scrutò con attenzione negli occhi:

– Perché lo dici?

Lui scrollò le spalle:

– Perché è vero.

Lei si alzò. Gli cinse il collo e, allo stesso tempo, si strinse con tutte le proprie forze al suo petto. Iniziò a singhiozzare di nuovo.

– Oh, Jakub! Kuba!

– Va tutto bene, tutto bene… – prese a tranquillizzarla.

E poi le loro labbra si trovarono istintivamente.

Il vento ululava fuori dalla finestra, trascinando ondate di grosse gocce di pioggia che rimbalzavano con fragore contro i vetri e i parapetti di metallo. Da oltre la parete provenivano i suoni di un pianoforte, dal quale le mani di un bambino, inesperte e non avvezze ai tasti, tentavano di tirar fuori una melodia.
Lei lo allontanò.

– Smettila. Non ha senso. Tu hai la tua vita, io ho la mia. Tra qualche minuto i miei figli rientreranno da scuola. Tu te ne ritornerai da dove sei venuto…

– No! No! – la interruppe violentemente. – Mi è costato troppo riuscire a venire da te, lo aspetto da troppo tempo, e ora che i miei sogni si sono realizzati non posso semplicemente uscire e andarmene nel buio e nella pioggia. Per sempre…
– Cos’hai in mente, allora?

– Ancora non lo so… O meglio, so soltanto una cosa: noi ci apparteniamo ancora l’uno all’altra… Come allora… Ricordi?

Lei sentì di nuovo un doloroso nodo alla gola e le lacrime raccogliersi sotto le sue palpebre.

– Ricordo. Sì, ricordo? E allora? Sono passati così tanti anni… Pensi che ora, dopo tutti questi anni, lascerò la casa, i bambini, e me ne andrò via con te? Cosa puoi darmi oltre a ciò che ho già?

– Me stesso – disse in un sussurro appena percettibile.

– Te stesso? Avresti dovuto farlo allora, anni fa…

– Sai benissimo che non potevo.

– Ah, sì, non potevi! Non potevi perché avevi una moglie!… E pure dei bambini… Proprio come io oggi… E adesso vieni qui da chissà dove e pretendi che io faccia ciò che tu ti sei rifiutato di fare? Vuoi che abbandoni la mia famiglia e vada via con te? Dove? Cos’è cambiato? Non hai più scrupoli? Sarai mica diventato vedovo?

– Sì e no. Diciamo che sono libero.

– Non mi dici nient’altro?

– A che scopo? Ascolta, Małgosia, non voglio portarti via ai tuoi figli. Non voglio distruggere la tua famiglia. Voglio che ci apparteniamo di nuovo l’uno all’altra, sia anche per pochissimo tempo. Completamente, fino alla fine. Non interrompermi – alzò la mano. – Non interrompermi, fammi finire.

Tacque per un momento, come se stesse raccogliendo i pensieri, poi riprese a parlare con voce sommessa:

– So perfettamente che né ora né mai hai amato tuo marito. So bene, non negarlo, che per tutti questi anni hai pensato solo a me, che mi hai desiderato e che mi hai chiamato. E allora perché, ora che i tuoi sogni si sono realizzati, pretendi che me ne vada?

Lo guardò per qualche tempo, poi nascose il viso tra le mani e prese a singhiozzare.

– Oddio, oddio, perché è tutto così difficile…

– Mi hai chiamato nei tuoi pensieri, mi hai sognato… Per tutti questi anni mi hai sognato… E adesso non puoi cacciarmi via così.

– Kuba… Kuba… – si strinse di nuovo al suo petto, cercando con le proprie labbra le sue. Poi si scansò bruscamente. – Va bene. Lo so che hai ragione. Sì, ti desideravo e ti desidero ancora. Ma adesso vattene. I bambini possono rientrare da un momento all’altro.

Lui si alzò lentamente e si diresse verso la porta:

– Vuoi che torni?

– Sì.

* * *


Il pomeriggio di quel giorno di settembre era afoso. Małgorzata aveva un appuntamento con quel giovane uomo non perché le piacesse, non lo si sarebbe di certo potuto definire attraente, ma perché l’aveva intrigata.

Due giorni prima aveva chiesto a uno sconosciuto un piccolo favore, dicendogli che in cambio lo avrebbe invitato a prendere un caffé. Così, per parlare. Non sospettava che quello sconosciuto, che aveva visto per la prima volta (come anche lui con lei, del resto), avrebbe acconsentito ad aiutarla, né tanto meno considerava in maniera seria quella promessa di un incontro davanti a un caffè.

E, invece, lui fece ciò che lei gli aveva chiesto e addirittura le telefonò per dirglielo.

Si sentiva piuttosto imbarazzata. Anche se il ragazzo se l’era meritato, non aveva affatto voglia di affrontare quell’incontro, quel caffè con uno sconosciuto. D’altro canto, però, si sentiva tormentata dalla consapevolezza del fatto di dover mantenere la parola data,  l’uomo l’aveva intrigata particolarmente.

Era seduto su una delle panchine di una piccola piazzetta, ai piedi di un nobile tiglio frondoso, le cui minute foglie a forma di cuore, per quanto fossero ancora vive, avevano perso la freschezza che avevano avuto in primavera. Nonostante l’afa, nell’aria si percepiva ormai l’autunno imminente.

Lei gli si avvicinò. Lui si alzò in piedi quando la vide, e quando lei gli porse la mano lui la baciò con una certa galanteria piuttosto all’antica, che non si addiceva molto a quel luogo e a quel contesto.

– Chiamiamoci per nome, sarà più semplice – propose lui.

– Małgośka – rispose lei.

– Kuba – disse lui.

Calò un silenzio imbarazzante. Né l’uno né l’altra sapeva di cosa parlare. Małgorzata stava pensando se dovesse sedersi sulla panchina quando Jakub parlò di nuovo:

– E allora?

– Allora cosa?

– Allora devo insistere su quel caffè che mi hai promesso.

Lei scoppiò a ridere:

– E va bene. Ma dove andiamo?

Jakub restò in silenzio per qualche momento, poi disse timidamente:

– Se sei d’accordo vorrei invitarti a casa mia. Ho del caffè e un dolce…

– Ah, è così! – esclamò con finta indignazione. – Mi stai tendendo una trappola!

Lui sorrise timidamente e arrossì così forte che lei provo pietà per lui.

– No, no! Non avevo in mente nulla di perverso… Che Dio me ne salvi…

Lei sapeva che lui l’aveva detto in maniera sincera

– E allora… va bene. Facciamo così. Ma ricordati che devi comportarti bene! – sorrise all’uomo.

– Certamente. Puoi stare tranquilla.

– Da che parte andiamo? – chiese.

Lui allungò la mano mostrando la direzione. Fu in quel momento che i raggi del sole fecero brillare una fede al suo dito. Małgorzata si fermò di colpo.

– Sei sposato? – chiese, e nel suo tono risuonò una nota accusatoria.

– Sì.

– E sicuramente avrai anche dei figli?

– Ho anche dei figli.

Rimasero in piedi l’uno di fronte all’altra, fissandosi negli occhi. Małgorzata esitava. Non sapeva cosa fare. La ragione le suggeriva di salutare l’uomo al più presto possibile e andare per la propria strada, lasciandolo lì, in quella piazzetta. Ma d’altro canto si sentiva tentata da qualcosa, era tentata sempre di più di non seguire il buonsenso e di accettare il suo invito.

– E dov’è tua moglie, dal momento che che mi porti a casa? – chiese con una voce che non era la sua. Sentì la gola farsi secca e una lieve contrazione alla laringe.

– È partita per qualche giorno… con i bambini…

Lei non fece più altre domande. Prese la sua mano tra le proprie, poi, dopo averla lasciata, disse sottovoce:

– Andiamo, allora…

E una volta giunti a destinazione, dopo aver assaggiato il dolce alle mele e aver finito il caffè, chissà come si ritrovarono seduto l’uno accanto all’altra. Vicini, molto vicini. Così vicini che di più sarebbe stato impossibile.

Lui cercava di non imporsi. Manteneva la parola data, ma lei percepiva che avrebbe preferito comportarsi diversamente. Rimasero in silenzio, mano nella mano. Senza guardarsi l’un l’altra.

Oltre la finestra spalancata stava calando lentamente il crepuscolo. La grande sfera del sole, di un arancione dorato, si era nascosta oltre l’orizzonte, nel cielo erano rimaste soltanto le lunghe strisce delle nuvole che, illuminate dal basso, brillavano di viola, rosso e rosa.

– Devo tornare a casa – disse Małgorzata.

– Sei sicura? – chiese.

– Devo tornare a casa – ripetè.

E fu allora che si baciarono timidamente e con cautela. Per la prima ed ultima volta quel giorno.

Quando lui stava per richiudere dietro di lei la porta che dava verso le scale, lei si voltò per guardarlo negli occhi ancora una volta. Si sorrisero a vicenda, sapendo che si sarebbero sicuramente incontrati di nuovo.

* * *

Nell’oscurità della notte, sotto allo scintillio di una miriade di stelle, nel bagliore argenteo della luna, tra il profumo delle foglie piene di rugiada dell’acero, i cui rami facevano capolino nella finestra aperta della sua stanza, Małgorzata stava seduta con il capo appoggiato sui pugni chiusi, meditando su ciò che le era capitato quel giorno.

All’inizio sentì un grande stupore, in fondo al quale c’era non poco piacere. Non avrebbe mai pensato che una “conoscenza-non conoscenza”, nata così per caso, si sarebbe potuta trasformare in qualcosa di più. Nel frattempo, invece, aveva capito che tutto la stava conducendo proprio in quella direzione.

Più il tempo passava, più si sentiva nostalgica. Socchiuse gli occhi, rievocando sotto alle proprie palpebre l’immagine di Jakub. Sapeva già che ciò che durante l’ultimo pomeriggio le era germogliato dentro non era altro che… amore.

Ma tornò subito a pensare sobriamente.

Da un lato non era in grado di liberarsi dall’immagine di Jakub, dall’altro sapeva che quel sentimento e quella relazione non avrebbero potuto avere un futuro. Non era una conquistatrice spietata, non sarebbe sentita capace di portare via un padre ai propri figli…

Si addormentò mentre l’orizzonte iniziava a schiarirsi.

* * *

– Małgośka!

Si voltò. Jakub la stava inseguendo di corsa sul marciapiede quasi vuoto. Lei non si fermò, anzi, allungò il passo.

– Małgośka!

La chiamò di nuovo, ma lei rimase impassibile. Lui la raggiunse leggermente affannato e le strinse forte il braccio. Lei se ne liberò bruscamente.

– Perché scappi? – le chiese. – Cos’è successo?

– Niente. Non ho più voglia di incontrarti e basta.

– Ma perché?! Perché?!

Lei allungò ancora di più il passo.

– Ma vuoi rispondermi? Ieri eri completamente diversa!

– Forse. Del resto… non pensare a quello che è successo ieri. Tutto ciò non ha senso… Nessun senso… Nessun futuro…

Corse via, senza voltarsi verso Jakub. Lui, invece, si fermò e restò a guardare, guardò a lungo, guardò la figura della ragazza che si allontanava nella prospettiva della strada, fino a sparire dietro l’angolo di una vecchia palazzina cadente.

* * *

Non era in grado di vivere senza Jakub. Non riusciva ad immaginarsi un futuro senza Jakub. Di giorno pensava a lui, di notte egli la raggiungeva nelle sue allucinazioni oniriche. Avrebbe voluto combattere quel senso di stordimento che la opprimeva, ma non sapeva come.

Credeva che l’antidoto migliore contro quello stupido amore da ragazzina sarebbe potuto essere qualche altro uomo. Ma non fu così. Incontrò più volte uomini diversi, ma quegli incontri non le consentirono affatto di dimenticare Jakub, al contrario, facevano in modo che i pensieri di Małgorzata ritornassero dolorosamente verso Jakub.

Il suo aspetto e il suo comportamento dovevano essere davvero diversi dal solito, dal momento che le amiche e i parenti avevano notato che era molto cambiata. In peggio.

La sua battaglia interiore durò molto a lungo, da settembre fino all’aprile dell’anno successivo.

La primavera giunse prima del solito. Le giornate calde e piene di sole, l’erba rigogliosa e verdeggiante e un numero sempre maggiore di fiori erano la prova che l’inverno se n’era andato definitivamente.

Il mattino era sereno, l’umore di Małgorzata era migliore del solito. Subito dopo essersi svegliata, ancora coricata e con gli occhi chiusi, ripensò a tutto ancora una volta. E fu allora, dopo mesi di ansie e di dubbi, che comprese finalmente e fino in fondo che si sarebbe dovuta arrendere, e che o sarebbe ritornata con Jakub, oppure non avrebbe mai più recuperato il suo equilibrio interiore, non sarebbe mai più stata la stessa persona che era prima di conoscerlo.

Dopo aver preso quella decisione si sentì subito molto meglio. Il mondo le sembrò di nuovo un luogo luminoso e amichevole, aveva perso quel colorito grigio e aveva recuperato i colori. Non pensò affatto a come avrebbe potuto ritornare con Jakub, anche perché lui, dal canto suo, aveva ormai da tempo rinunciato a lottare per il loro amore.

All’inizio aveva tentato di convincerla ad incontrarsi telefonandole, scrivendole delle lettere, attaccando bottone per strada. Ma quando vide che tutto ciò non portava alcun risultato, che Małgorzata rimaneva inflessibile e faceva di tutto per evitarlo, egli comprese che i suoi sforzi erano inutili e che lui stesso rischiava di risultare ridicolo.

* * *

Małgorzata camminava tranquilla sullo stesso marciapiede di quella stessa via, sulla quale una volta aveva cercato di sfuggire a Jakub. Nella sua mente si dimenava un pensiero tanto stupido quanto inopportuno:

“Se adesso lo incontrassi tutto si sistemerebbe. Sarei felice insieme a lui.”

Lo scorse accanto al chiosco dove aveva l’abitudine di comprare e sigarette.

– Jakub! – esclamò.

Sorpreso, egli si voltò. Stupito, guardò la ragazza. Lei non sapeva più come comportarsi, cosa dire. Ma avrebbe pur dovuto dire qualcosa.

– E allora, come stai?

Fu l’unica cosa che le passò per la testa. Si rese conto di quanto fosse difficile, di quanto si sentisse stupida e fuori luogo.

– Io? Così, così. Normale – rispose lui.

Rimasero in piedi l’uno di fronte all’altra per qualche tempo, in silenzio. Infine Małgorzata parlò di nuovo:

– Dove stavi andando?

– A fare una passeggiata, al parco. Se hai tempo e voglia puoi farmi compagnia.

– Sì – acconsentì senza indugio.

Rimasero seduti a lungo, molto a lungo, sulla panchina scomoda e dura del parco. Parlarono poco, ma riuscirono a dirsi le cose più importanti.

E da quel momento in poi presero a sgattaiolare via di casa per vedersi, e quegli incontri sarebbero dovuti rimanere segreti. E così passò la primavera, passò l’estate. Il loro amore cresceva e diventava sempre più meraviglioso e, anche se è difficile da credere, non andarono mai oltre il bacio.

Si desideravano a vicenda, ma Małgorzata non voleva superare quella linea sottile che separa un amore ideale dall’amore fisico. Preferiva che tutto rimanesse così com’era, irrealizzato. O forse voleva qualcosa di diverso: ossia, che fossero entrambi consapevoli del fatto che la realizzazione dei loro desideri era proprio lì, a portata di mano, e che vi rinunciavano deliberatamente.

Lei: poco più di una ragazzina, il suo era quasi un amore da ragazzina, nonostante percepisse anche i desideri del corpo. Lui: un uomo già maturo, tormentato dal desiderio, non faceva pressioni su di Małgorzata, non insisteva, cercava di non imporsi e, nonostante la decisione che lei aveva preso gli dispiacesse, la rispettava. Era forse rimasto affascinato dalla purezza del loro amore? Aveva forse paura di perdere la prima e l’unica donna della sua vita che lo aveva scelto seguendo i bisogni del cuore e non, come aveva fatto la moglie, in maniera freddamente pragmatica?

* * *

Małgorzata si aggirava furtivamente tra le palazzine con il capo chino. Era convinta che tutte le persone di passaggio la fissassero con disapprovazione. Allungò il passo. Affrontò le scale quasi di corsa. Si fermò davanti a quella porta che ormai conosceva bene. Il cuore le batteva nel petto come impazzito per lo sforzo, per la paura, per la tensione. Per la seconda volta in tutta la sua vita sarebbe rientrata in quella casa. La prima volta era stata un anno fa…

Bussò piano piano, come se, bussando con più vigore, temesse di attirare l’attenzione dei vicini. La porta si aprì senza alcun rumore e, non appena ella si trovò all’interno, senza alcun rumore si richiuse.

Rimasero seduti l’uno accanto all’altra, abbracciati. Quel mattino d’inizio primavera fu un unico, lungo bacio. Iniziava già a calare la sera quando Jakub tentò di superare quello stretto confine che li teneva ancora separati. Desiderava la loro unione. Lei lo sentiva tremare. E quel tremore si diffuse anche sul suo corpo.

Non si oppose quando lui riempì di baci i suoi seni scoperti e le sue gambe. Małgorzata socchiuse gli occhi nell’attesa dell’appagamento finale.

Ma all’improvviso Jakub si scostò bruscamente. Stupita, aprì gli occhi, si sistemò istintivamente i vestiti e lo guardò. Se ne stava seduto sul bordo del divano con il volto nascosto tra le mani.

– Cos’è successo? – gli chiese. Nella sua voce si poteva percepire una certa irritazione. – Cos’è successo? – ripeté stizzita.

– Perdonami. Perdonami, amore. – diceva Jakub. – Non posso, non posso…

– Perché? Che sciocco che sei! – lo strinse con le braccia, appoggiò la propria guancia contro quella di lui. – Ti aiuto io – disse accarezzando i capelli scomposti dell’uomo con delicatezza, con la punta delle dita …

– Non è così, Małgosia. Non è quello che pensi. Io… cerca di capirmi bene, io non riuscirei mai a farti del male… Io… dopo una cosa del genere, io non potrei fare altro che restare con te… Dovrei scegliere di vivere soltanto insieme a te…
Lei sentì un nodo alla gola. Con una certa difficoltà riuscì a buttar fuori una domanda:

– E allora?…

– Devi capirmi!

– E allora perché non resti… soltanto con me?

Lei si spaventò di quanto ardite fossero state quelle parole. Non riusciva a capire sé stessa. Non comprendeva dove avesse trovato il coraggio di pronunciarle. In realtà, sapeva benissimo che non sarebbe stata in grado, non sarebbe mai stata in grado di lottare per averlo. Di portarlo via alla sua famiglia. Di tenerselo solo per sé.

Lui non riuscì a sopportare il suo sguardo. L’espressione di quegli occhi azzurro scuro, quasi blu, in cui si dipingeva stupore misto ad un’accusa. Quegli occhi che sembravano quasi gridare:

“Mi hai ingannata!… Ingannata!…”

– Non posso abbandonare i bambini – sussurrò.

– Sì, capisco…

Rimasero seduti ancora a lungo, in silenzio. Lui tentò di prenderle la mano, ma lei la allontanò e si rannicchiò dall’altro lato del divano.

I minuti passavano lenti, poi confluivano in ore. Oltre la finestra il cielo si era fatto oscuro, il crepuscolo era strisciato fuori da ogni angolo e si era allargato tutto intorno. I lampioni illuminarono la strada.

– Devo andare – disse Małgorzata.

– Sì, lo so – rispose Jakub.

La accompagnò all’ingresso. Appoggiò la mano sulla maniglia.

– Ricorda, Małgosia, non ho potuto fare diversamente… Ti amo troppo, non avrei mai il coraggio di farti del male. Ma non ho il diritto di fare del male ai miei figli Che tutto ritorni come era prima del nostro primo incontro.

Lei riusciva a percepire quanto lui stesse soffrendo. Condivideva quella sua sofferenza, ma non avrebbe voluto dimostrare neanche un accenno di compassione nei confronti di Jakub.

– Ti amo, Małgosia.

Lei si mise a piangere. Lui l’abbracciò, lei si strinse al suo corpo con tutta la propria forza. E subito dopo si scostò bruscamente.

– Devo andare – disse ancora una volta.

– Ti amerò sempre…

– Anche io…

Małgorzata uscì sulle scale buie. Procedeva verso il basso aggrappandosi spasmodicamente alla ringhiera. La porta si chiuse dietro di lei senza alcun rumore.

Rimasero da soli, ognuno col proprio amore. Con quell’amore che sembrava loro l’unico e il più importante. Quell’amore che non aveva avuto la possibilità di realizzarsi. Quell’amore che non avrebbe mai avuto la possibilità di realizzarsi… Mai? Probabilmente mai… Sicuramente mai…

“Mai”, quella parola pulsava dolorosamente nella coscienza di Jakub e di Małgorzata. Non lasciava alcuna speranza. Era dura e crudele.

In seguito, la ragazza non si recò subito a casa. La notte vagò ancora a lungo tra le stradine deserte. Cercò di pregare, chiese a Dio che tutto potesse ritornare indietro, che le rendesse l’uomo che aveva amato. Al contempo comprese quanto priva di senso fosse quella sua preghiera, quanto fosse blasfema.

Una gran luna emerse nel firmamento blu scuro. Le luci iniziarono a spegnersi nelle finestre delle abitazioni.

* * *

Passarono giorni e settimane. Le stagioni si susseguirono una dopo l’altra e né Jakub, né Małgorzata riuscirono a ritrovare la serenità interiore. Si evitarono a vicenda, e poi, dopo un anno, forse un anno e mezzo, si persero di vista definitivamente…

* * *

Małgorzata era da sola. Il marito era partito con i bambini per qualche giorno. Con molta difficoltà era riuscita ad averla vinta e a non andare con loro a trovare i suoceri, che non sopportava. In maniera reciproca, in fondo.

Era in piedi alla finestra, oltre alla quale l’imbrunire si stava facendo sempre più fitto. Senza pensare a nulla fissava i grossi fiocchi di neve che cadevano senza alcun rumore dal cielo velato dalle nuvole. Li osservava mentre ricoprivano tutto intorno con una coltre sempre più spessa.

Sussultò quando sentì lo squillo acuto del campanello.

“E chi sarà mai, adesso?” – pensò infastidita. – “Forse una delle vicine.”

Senza fretta si diresse verso l’ingresso. Girò la chiave, aprì. Oltre la soglia c’era Jakub.

Spaventata dalla sua presenza lanciò un’occhiata accorta al corridoio e trascinò l’uomo all’interno, infine serrò la porta il più rapidamente possibile.

Poi lo osservò con una certa irritazione:

– Perché non mi hai avvertita che saresti venuto?

– Beh, non potevo. Ma in fondo… in fondo non ce n’era bisogno.

– Ma come no?! Ma come no?!

– No e basta. Sapevo che oggi a quest’ora saresti stata sola.

– Come fai a saperlo? Ci spii, per caso?

Jakub sorrise:

– No, non vi spio. Lo sapevo e basata. Non insistere, non farmi domande. Tutto ciò non ha alcuna importanza. Non sei felice che siamo di nuovo insieme?

– Sono felice, molto felice – rispose Małgorzata, sfiorando al contempo la guancia dell’ospite con le labbra.

Nonostante fosse ormai completamente buio, non accesero la luce…

…E poi rimasero sdraiati l’uno accanto all’altra, in silenzio. Appagati e tranquilli. I loro corpi si toccavano. Non avevano bisogno di nient’altro.

Lentamente i suoni della vita iniziarono a calare e a spegnersi. Rimase solo il tintinnio indistinto di una triste melodia che li raggiungeva da oltre la parete. Alla fine tacque anche quello.

La neve cadeva ancora e ancora. Dei grandi fiocchi soffici calavano giù dal cielo senza alcun rumore. Non turbinavano nemmeno nell’aria. Li osservavano mentre ricoprivano il davanzale al di là della finestra nel bagliore arancione delle lampade al sodio…

– Raccontami qualcosa di te. Dove abiti, come vivi? Dai, dimmi tutto di te – disse Małgorzata.

– A che scopo? Non ti basta che io sia qui accanto a te? Non ti basta che, dopo tutti questi anni, i nostri desideri si siano finalmente realizzati? Che ci apparteniamo l’uno all’altra? Fino in fondo?

– Sì, ma certo, certo che sì. Ma…

– “Ma” cosa?

– Ma vorrei sapere qualcosa di più. Per pura curiosità.

Lui non le rispose e calò di nuovo il silenzio.

– Ascolta, Kuba… – Małgorzata non voleva darla per vinta.

– Chiedi. Forse ti risponderò, forse no…

– Ascolta, Kuba. Dimmi una cosa, ma sii sincero. Cosa è cambiato nella tua vita, perché ti comporti in maniera completamente diversa rispetto ad allora, anni fa? Non hai più alcun senso di colpa? Non ti tormenta più il tradimento che stai commettendo?

– Non ho tradito nessuno.

– Come no? Sarai mica divorziato o vedovo?

– Né l’una, né l’altra cosa.

– E allora non ti capisco affatto. Sei cambiato davvero così tanto? Ciò che per te anni fa era sbagliato, adesso all’improvviso non lo è più?

– No, quel che penso a riguardo non è cambiato affatto. Piuttosto… piuttosto sono cambiate le circostanze. Adesso è tutto diverso…

– E non ti dà fastidio il fatto che io tradisco mio marito?

– No, questo non mi dà fastidio. È un problema tuo, non mio. In fondo… In fondo, non si può tradire qualcuno che non si è mai amato.

– Sei un cinico.

– Forse.

Lo abbracciò. E di nuovo, per molto, molto tempo, tutto il resto smise di esistere. Smise di esistere persino il tempo…

E la neve cadeva ancora e ancora, calando dal cielo senza alcun rumore.

Rimasero sdraiati a riposarsi l’uno accanto all’altra, questa volta ascoltando dei fruscii indefiniti che giungevano alle loro orecchie da chissà dove. Il lampione, che si trovava in strada quasi esattamente di fronte alla finestra, e la cui luce dipanava il buio che regnava nella stanza, sfarfallò all’improvviso e si spense.

Si ritrovarono avvolti da un’oscurità appiccicosa, quasi palpabile.

Małgorzata si sentì a disagio. Non che avesse paura del buio, ma per nulla al mondo avrebbe voluto restare da sola in quel momento. Aveva bisogno di un’altra persona. Aveva bisogno di provare un certo senso di sicurezza, di avere la certezza che qualcuno sarebbe stato lì per proteggerla nel momento del bisogno.

– Mi dispiace, Małgosia, il tempo a mia disposizione sta per finire. Fra poco dovrò andare…

– No! Kuba! Resta, ti prego! Voglio stare con te. Fino a domattina.

– Io vorrei la stessa cosa, ma non è possibile. Non appartengo del tutto a me stesso…

– Non ti capisco. Hai paura di tua moglie?! Eh?! – esclamò stizzita.

– Te l’ho già detto. Mia moglie non c’entra nulla. Perché continui a mettere in mezzo mia moglie?

Quando richiuse la porta alle sue spalle,Małgorzata sentì un senso di vuoto. Un vuoto terribile, molto strano, che si espandeva da ogni direzione. Non aveva mai provato nulla del genere. Era sé stessa, ma al contempo sentiva di essere isolata dalla realtà materiale che la circondava, era pura coscienza.

* * *

Domenica pomeriggio. L’inizio della primavera lasciava presagire l’arrivo di giornate lunghe e calde. Il sole rallegrava il grigiore delle strade, delle case, degli alberi dalle corone ancora spoglie. Il bagliore dorato nell’aria donava persino agli ultimi rimasugli di neve, sporca e nascosta ancora qua e là, un aspetto diverso, non così triste e rivoltante come quando il cielo era ricoperto da nubi livide e grigie.

Małgorzata camminava da sola. Cercava di evitare i gruppetti di persone che passavano in senso opposto lungo l’ampio marciapiede. Andava avanti tanto per andare avanti. Non sapeva dove e perché. Quell’ira, quel rancore e quel dolore che proviamo quando veniamo traditi da una persona che amiamo si stavano gonfiando dentro di lei e la stavano conducendo chissà dove.

Non aveva più visto Jakub da quella sera d’inverno… All’inizio aveva atteso, si era illusa, aveva avuto fede, ma erano passate settimane e lui non si era fatto vedere ed infine capì che, probabilmente, ormai avrebbe dovuto farne a meno. Farne a meno… a meno che non l’avesse cercato lei stessa…

La collera ebbe la meglio sull’imbarazzo. Sì, ormai era certa che avrebbe dovuto trovare Jakub… che avrebbe dovuto sputargli in faccia.

Il bambino nel suo grembo si agitò bruscamente, come se fosse stato contagiato dall’ansia della madre.

Il bambino… il bambino di Jakub…

Se non fosse stato per quel bambino, probabilmente, si sarebbe messa l’anima in pace. Jakub era venuto chissà da dove, se n’era andato chissà dove. In fin dei conti non era una ragazzina ingenua, sapeva a cosa era andata incontro. Ma ormai loro due erano legati da un vincolo inscindibile, il vincolo di un essere umano a cui avevano donato insieme la vita.

E per quel motivo non avrebbe potuto lasciare Jakub in pace. Avrebbe dovuto cercarlo, anche solo per digli che sarebbe diventato il padre di loro figlio. Da lui non voleva nulla, soltanto che sapesse…

– Prego?! Prego, mi dica?! – una voce femminile acuta e severa la strappò ai propri pensieri.

Małgorzata si destò davanti allo sportello della cassa della stazione.

– Chiedo scusa, ero sovrappensiero.

La donna oltre il vetro scrollò le spalle.

– Allora, per dove lo vuole il biglietto?

* * *

Le ruote di ferro del treno battevano ritmicamente sui binari. Il mondo oltre la finestra si fece grigio, poi venne ricoperto dal buio. Quando Małgorzata scese alla stazione della città in cui una volta aveva conosciuto Jakub, era ormai notte fonda.

Non aveva la minima idea di cosa avrebbe dovuto fare. Per un po’ vagò senza una meta lungo le strade deserte osservando le finestre vuote. Un cane abbaiava di tanto in tanto chissà dove.

Fece ritorno in stazione. Comprò un bicchiere di tè e una confezione di fette biscottate in una bettola sporca, squallida e pervasa dal fetore di cibo scadente, frittura e da altri odori indefiniti e sgradevoli. La notte si trascinava avanti senza fine. Si sforzò di dormire un po’ e forse riuscì nell’intento, poiché quando sollevò lo sguardo dal bicchiere di tè lasciato a metà verso il grande orologio elettrico, le sue lancette nere indicavano le cinque di mattina.

Con le dita stropicciò via dalle palpebre gli ultimi rimasugli di sonno, si sgranchì le ossa doloranti.

“Meglio così” – pensò. – “Meglio se è così presto. Sicuramente non è ancora andato a lavoro.”

Con passo deciso si mosse verso l’uscita.

Nonostante fossero passati molti anni, non aveva dimenticato la strada. Titubò un attimo davanti al portone della scala che portava a casa di Jakub. Avanzò piano, molto piano, come se stesse facendo il conto alla rovescia delle scale, impiegando molto più tempo del dovuto. Ma poi prese coraggio e con un gesto deciso pigiò il campanello, una volta, due, tre.

Quel suono acuto e straziante le vibrò in maniera spiacevole nei timpani. Per qualche tempo non accadde nulla. Poi, dalle profondità dell’appartamento, un rumore di passi giunse alle orecchie di Małgorzata.

La mano di qualcuno fece ruotare la chiave, la serratura scattò due volte e la porta si aprì con un cigolio. Sulla soglia c’era una donna non più molto giovane. Stupita ed evidentemente sorpresa, fissò Małgorzata senza comprendere perché mai quella sconosciuta l’avesse svegliata a quell’ora del mattino.

– Qual è il motivo della sua visita? – chiese sbadigliando.

“Ah, questa sarebbe la mia rivale. Adesso non mi stupisce più che Jakub sia venuto da me per cambiare un po’. Che donnaccia odiosa. Che strega” – pensò Małgorzata mentre lanciava alla donna un’occhiata piena di odio, anche se, volendo essere obiettivi, sarebbe stata l’altra donna a dover odiare Małgorzata, se solo avesse saputo quel che la legava a Jakub.

– La sto ascoltando! Cosa vuole? Chi è lei e cosa vuole a quest’ora del mattino?

– Cosa voglio? Cosa le frega?! – rispose Małgorzata in maniera scortese e ad alta voce. – Mi dica solo se c’è Jakub. Devo vederlo assolutamente in questo momento!

– Chi?!

La donna, chiaramente sbalordita e sorpresa, sbatté le palpebre.

– Credo di essermi espressa in maniera chiara! Mi chiami Jakub, per favore!

– Temo sia impossibile.

– Non vuole chiamarlo?! – sbottò Małgorzata infuriata mentre la rabbia le ribolliva dentro sempre più forte e si trasformava pian piano in una furia selvaggia e imprevedibile – Non vuole chiamarlo?! E allora lo cerco da sola!

Spinse via l’altra donna e si precipitò nell’appartamento. Ma, una volta dentro, esitò un attimo, poiché non sapeva più quale porta avrebbe dovuto aprire.

– Faccia pure! – alle sue spalle le giunse la voce della padrona di casa. – Qui dentro non troverà nessuno, tranne me.

Małgorzata si voltò verso di lei:

– E Jakub? Dov’è Jakub? Devo vederlo!

La donna scosse il capo.

– Jakub è morto – sospese la voce per un attimo – …a novembre saranno passati dieci anni dalla sua morte.

Małgorzata si sentì frastornata.

– Eh?… Come?… Cosa?… – balbettò.

– Glielo ripeto… a novembre…

Ma Małgorzata non le prestava più attenzione. Piombò in fretta e furia fuori dall’appartamento. Correva lungo le strade, dritta davanti a sé. Rallentò solo quando il cancello del parco baluginò davanti ai suoi occhi.

Si sedette su una panchina, la stessa panchina sulla quale, anni prima, era stata seduta con Jakub. Tentò di raccogliere i pensieri.

“Oddio, è un incubo!”

Il bambino nel suo grembo sgambettò bruscamente. Quel gesto la riportò alla realtà. Alzò il capo. In lontananza, sullo sfondo dei tassi della siepe, scorse il contorno di una figura umana. Balzò in piedi.

– Jakub! Kuba! – gridò, ma non ebbe risposta. Davanti alla parete verde scuro non c’era nessuno… Non sapeva più cosa fosse reale e cosa un’allucinazione. Il bambino dentro di lei si mosse di nuovo. Reale in tutto e per tutto…

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